mercoledì 26 febbraio 2014
Cosa succede - povero Letta?
Osservo:
- Letta non se ne voleva andare e ha reso molto difficile la transizione rifiutando il confronto politico ( nel merito del lavoro di governo) e mettendo in scena uno scontro personale di cui era la vittima - (nella messa in scena, come sempre, l'interesse dell'Italia e degli italiani é solo un dato molto di sfondo). Forse Letta poteva invece facilitare la transizione preservando sia l'orgoglio sia la continuitá di quel lavoro di governo di cui rivendicava la qualitá (che invece ha subito una cesura netta, almeno nella facciata) - ma era più semplice addossare la colpa all'"arroganza" di Renzi (contando sulla sua impazienza e insofferenza).
- bisogna inoltre bene intendersi che cosa é "il partito". É il "partito" che non ama Renzi (ma la sua base e i suoi elettori lo hanno inondato di voti) o "la classe dirigente (nominata) del partito" anzi "l'attuale (nominata) classe dirigente del partito" che non lo ama? Ma il partito é la sua base o la sua classe dirigente? Le parole sono importanti...
Il nostro cagnolino
Cosa succede - il possibile discorso di Renzi
Se Matteo Renzi mi avesse versato una cifra anche modesta, diciamo non meno di 5.000 euro, avrei volentieri messo un po’ d’ordine alla fuffa torrenziale con la quale, improvvisando, ha arringato oggi il Senato. Non conoscevo il suo programma di governo (ma da come ne ha parlato manco lui), eppure penso che avrei potuto aiutarlo ugualmente a prendere qualche applauso in più da una sala piuttosto apatica, diciamo, per capirci, tipo il teatro Ariston durante l’esibizione dei Perturbazione. Nel caso servisse per il Renzi-bis, ho comunque provveduto a stendere un testo che riassume il dire renziano evitando almeno alcune ripetizioni (Europa/sindaco/rivoluzione) ma ne conserva una certa qual gassosità e la naivitè protopopulista e un po’ molto paracula che a noi commmunisti è sempre piaciuta. Ho anche aggiunto alcune suggestioni personali (due robette di sinistra, due di opportunità istituzionale e di rispetto delle opposizioni) perché metti che lo prenda davvero, lo legga, e non se ne accorga: a quel punto è fatta. Non è un testo satirico, eh? Cinque testoni e glielo spedisco davvero. Buona lettura.
Di Matteo Renzi
Signore senatrici, signori senatori,
prima di cominciare l’illustrazione del programma di governo, vorrei rivolgere il mio grazie a Enrico Letta e al lavoro che ha tentato di svolgere in questo difficile anno. Il contesto politico ha fatto sì che la sua corsa si fermasse prima del tempo, ma sono qui a ribadirgli la stima mia personale e del suo partito per quanto ha fatto. Vi sembreranno parole democristiane, nel senso deteriore del termine. Sono parole di buonsenso, di rispetto. Ritenevo, ritengo, che ci fosse bisogno di un cambio di passo. Ed è per questo che sono venuto meno alle rassicurazioni che gli avevo dato. Ma l’ho fatto per il Paese. E spero che la storia ci darà ragione. Stiamo prendendo un rischio importante. Tutti. Non sarò così sciocco da personalizzarlo.
Sarò breve. Vado per punti. Avrei potuto improvvisare, andare a braccio, ma il momento è troppo grave per permettersi divagazioni.
Quella che vi propongo è una rivoluzione culturale.
Abbiamo sei mesi per porre i pilastri di una ripartenza, prima di assumere la responsabilità di guidare l’Europa. Dovremo dimostrarci credibili, per recuperare la leadership che ci vide motori del continente. Perché l’Europa è un’occasione. La responsabilità, è un’occasione. Non c’è bisogno della Merkel per dirci che dobbiamo far fronte ai nostri impegni. Lo dobbiamo al futuro dei nostri figli. Un bravo comico, che imita meravigliosamente anche i politici meno bravi, diceva l’altra sera che dobbiamo uscire dalle barzellette. Possiamo farlo soltanto noi, non ci tirerà fuori nessuno. E non meritiamo di starci, nelle barzellette.
Cultura, responsabilità, futuro: sono le parole chiave di questo governo. Dovremo riempirle di contenuti. Ora. Osando, miscelando entità apparentemente lontanissime tra loro.
Per rilanciare la cultura, ad esempio, ho in mente di aprirla ai privati. Non dobbiamo avere paura di chiedere alle aziende ciò che ridaremo in termini di riduzione del cuneo fiscale e di immediata restituzione dei crediti che molte di loro vantano con lo Stato. In questo modo ci renderemo credibili verso la parte produttiva del Paese, ridaremo ossigeno alle aziende, alla produzione, ai consumi, ai cittadini. Sarà un patto. E se quel patto funzionerà, meriteremo di essere una superpotenza del turismo. Quindi economica. Quindi politica.
Ma nemmeno la migliore delle opere d’arte può emergere se intorno non c’è una coscienza di popolo. Una dignità diffusa. Quindi chiedo a voi, senatori e senatrici, di aiutare questo governo in un’opera di contrasto indefesso alla mafia e alla mentalità mafiosa, ai reati e all’omertà che ci ha impedito di raccontarci cosa rischiamo di diventare. Nessun paese può presentarsi in Europa con dignità se non sconfigge il cancro della criminalità organizzata la quale, per inciso, divora punti importanti di Pil. Quindi i nostri denari, oltre al nostro decoro.
Per questo chiederemo all’Europa di derogare al patto di stabilità per far sì che la nostra battaglia contro la mafia, tutte le mafie, sia la battaglia di un’intera nazione. Dobbiamo dare mezzi e tecnologie ai giudici, ai poliziotti. Dobbiamo rispettare le nostre divise perché rappresentano l’unità del Paese.
E’, questo, patrimonio della sinistra come del migliore centrodestra. E sicuramente lo è anche del Movimento Cinque Stelle, cui guardo col rispetto che si deve a chi ha posto in essere riflessioni importantissime sui costi e sull’onestà della politica. Non vi chiedo di condividere questo governo. Chiedo a voi, non ai vostri leader, di combattere per un’Italia legale. Su questo mi gioco la credibilità. Ce la giochiamo tutti.
Ma la cultura è niente senza la scuola, senza un’istruzione che funziona realmente, che permetta un’opportunità per tutti, anche chi non ha nobili natali alle spalle. Il resto del denaro recuperato dal patto di stabilità, e da una politica di tagli che vi prometto sarà equa, non lineare, attenta al centesimo, verrà investito nella scuola. Sicuramente faremo qualche errore, metteremo le mani dove non dovremmo e lasceremo qualche privilegio per, magari, rimuoverlo poi. Ma l’impegno è a limitarli, e a dare a chi merita. In primis gli insegnanti, che devono tornare a sentirsi parte di una vera operazione culturale. Per farlo, dovranno essere pagati decorosamente. E questo discorso vale per tutti gli Statali. In cambio, chiediamo una mano. Chiediamo anche a voi, di firmarlo, quel patto.
Non è una mera questione generazionale. Io sono giovane, ma essere giovani non è un merito assoluto. Certo è che ai giovani bisogna dare risposte. Bisogna dir loro, ed è questo che faremo con un nuovo patto del lavoro, che non si può regolare il mercato con regole vecchie di quasi cinquant’anni. Non è un problema di articoli da cancellare, ma di tutele da estendere. E lo faremo. E condivideremo un percorso che ridia cittadinanza anche a chi è fuori dal mercato del lavoro. Ho sempre parlato di meritocrazia: deve diventare un valore. Come il rispetto delle regole. Perché se tutti rispetteranno le regole torneremo a essere un grande popolo. Come quando ci rialzammo dalla Seconda Guerra Mondiale. Ecco: la guerra è finita. Ora dobbiamo ricostruire. Insieme.
A proposito di guerra finita, non dobbiamo permettere alle contingenze giudiziarie dei nostri avversari di affossare una riforma della giustizia che non può più essere rinviata. Una riforma che la renda più snella, veloce. Garantista, certo. Laddove però le garanzie si riservano anche a chi il reato lo subisce, e ha il diritto di veder punito chi l’ha commesso. Voglio che il mio sia un governo che si rivolge soprattutto ai più deboli.
Non so quanto questo governo durerà. Se avremo il tempo di una legislatura, che certo avrei preferito bagnata da un voto popolare, o ci limiteremo solo a scrivere le regole. E questo è inevitabile, per tornare a votare con la certezza di avere un governo, e poter dare finalmente le risposte che merita chi si è sempre fidato dello Stato e in cambio ha avuto un presente incerto, di povertà e paura. Dobbiamo poterli guardare in faccia.
Certo è che quelle regole, la legge elettorale, i tempi per abolire il senato e le province, per riorganizzare la macchina dello Stato, saranno frutto di una mediazione. Perché la democrazia è questo. I principi, invece, quelli no. Il principio che una coppia non sposata, anche dello stesso sesso, deve avere diritti civili e garanzie chiare. Il principio che siamo tutti uguali davanti alla legge. Il principio che chi è nato qui è italiano, perché i suoi genitori pagano le tasse qui. E si pagano, le tasse. Significa far parte di una comunità a pieno titolo. Un fisco equo, una lotta senza quartiere all’evasione. Allo stesso tempo. Questo è ciò che vogliamo.
Queste sono linee programmatiche cui daremo gambe concrete in tempi brevi, giorno per giorno. La fortuna di una maggioranza così variegata, forse l’unica, è che le sensibilità personali e le storie diverse garantiscono rappresentanza e possono contribuire al varo di compromessi accettabili. Non fu la stessa Costituzione, un compromesso?
Giudicateci per quello che faremo, non per quello che farà Matteo Renzi. Giorno per giorno. Non trasformeremo l’Italia in una Repubblica socialista ma neanche nello scendiletto dei poteri forti. Quella è una parodia buona per i social network, ma – e lo dico io, pensate – non si cambia un Paese con i like e con i tweet.
Un grande democristiano, Amintore Fanfani, voleva per sé e per il Paese un “progresso senza avventure”. Un grande comunista, Antonio Gramsci, parlava di “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”.
Qui, ora, vi propongo un’avventura chiamata progresso, con l’ottimismo della ragione.
Viva l’Italia, viva il Parlamento, viva la democrazia.
sabato 22 febbraio 2014
Cosa succede - l'argomento del giorno
Andiamo avanti tranquillamente
1. Ci sono almeno tre forti ragioni per essere molto delusi dalla scelta di non confermare Emma Bonino agli Esteri. Una è che Bonino è uno dei politici più onesti e competenti sugli Esteri che ci sono in Italia, e azzerare il suo lavoro è una vera sciocchezza, così come lo è smettere di approfittare della sua capacità e impegno. La seconda è che c’è un solo ministero in cui esperienza e rispettabilità sono decisivi e prevalenti sul rinnovamento, e non un alibi vuoto come per altri ruoli; e un solo ministero in cui l’Italia non abbia bisogno di approcci innovativi e sovversivi rispetto a passati fallimentari: ed è il ministero degli Esteri. Lo dico con stima per Federica Mogherini, che penso capace di molto: ma se si pensa al semestre europeo, all’Ucraina, ai marinai in India – per dirne solo tre – scegliere tra Bonino e Mogherini è come scegliere tra un fiammifero e un garofano quando si deve accendere un fuoco. La terza ragione è quella meno concreta e più sgradevole: ed è che anche Matteo Renzi si sia inserito – lo sta facendo sempre più spesso – in un deprecabile solco della politica italiana e della politica di sinistra. Ovvero dare peso al potere contrattuale degli apparati politici piuttosto che alle qualità individuali: e ottenere che ne faccia le spese Emma Bonino, che non conta niente, non la protegge nessuno e non serve a ottenere niente. In questo caso, dovendo Renzi mostrare rinnovamento rispetto al governo Letta non ha però rimpiazzato tre ministri alfaniani; né ha rimpiazzato tre ministri del PD, che pure si dimostrano così indispensabili da essere stati rimescolati in ministeri a piacere (e di uno dei quali a suo tempo aveva opinioni condensate nella definizione di “vicedisastro”). Ha invece scaricato quel che era facile scaricare, e che il PD va scaricando da anni in mille diverse repliche: una tradizione. Una vigliaccheria, in senso tecnico.
(Colmo di paradosso: quello che ha combinato il disastro Shalabayeva resta ministro, dopo che Renzi ne aveva suggerito le dimissioni; quella che ha riportato Shalabayeva viene scaricata).
2. Non si sa ancora com’è andata, ma la certezza con cui circolava il nome di Nicola Gratteri nel pomeriggio di venerdì lascia pensare – anche a chi diffidi delle invenzioni di questi giorni sui “totoministri” – che quel nome fosse davvero fondato. Chi conosce Napolitano ha immaginato presto che le sue attenzioni agli Esteri e alla Giustizia lo avrebbero reso diffidente su quelle due scelte: ora in molti scrivono che l’ha avuta vinta sulla Giustizia e persa sugli Esteri. Se è andata davvero così, c’è da apprezzare la sua misura e deprecare ancora di più l’insistenza renziana sugli Esteri. Ma è una buona notizia che – anche qui al di fuori di ogni opinione su Nicola Gratteri – qualcuno sia riuscito a togliere a Renzi la bislacca idea che un pubblico ministero possa essere una buona idea per un ruolo così delicato e bisognoso di equilibrio come il Ministero della Giustizia. Può darsi che a Renzi piacesse usare questa scelta per mostrarsi capace di provocare Berlusconi, ma ne avrebbe fatto le spese un fronte importantissimo della gestione pubblica e dei guai nazionali. Se glielo ha dovuto spiegare Napolitano, di nuovo complimenti a Napolitano.
3. Non so veramente niente di Stefania Giannini: tendo a pensare sia una brava persona, come tendo a pensare degli sconosciuti. Ma osservo che Matteo Renzi ha preso il settore di cui andava da anni annunciando l’assoluta priorità nella ricostruzione di nuove prospettive per tutti – “la scuola è il terreno sul quale si gioca il futuro del nostro Paese”, diceva il suo programma – e lo ha usato per risolvere il mercanteggiamento ministeriale con un piccolo alleato, consegnando il ministero al suo segretario, come con un Alfano qualsiasi. E non raccontiamoci storie sul fatto che Giannini sia docente universitaria: qualifica assai diffusa e che non ha niente a che fare con le ragioni per cui è diventata ministro, oltre che assai estranea ai temi della scuola di cui Renzi è andato parlando finora.
4. Dario Franceschini, un ministro per tutte le stagioni, è stato messo alla Cultura, pescando tra i sei ministeri per cui erano state fatte ipotesi apposite per lui. È un uomo colto, scrive, va bene. È anche un ex segretario del PD, sottosegretario per la prima volta nel 1999, sfuggito alla micidiale rottamazione di Matteo Renzi – che pure gliene ha dette di tutte – in forza di un suo poterino contrattuale interno al PD che ha messo acrobaticamente al servizio di Renzi dopo averlo spostato un po’ ovunque negli anni. Franceschini – ripeto, stimabile persona – è quello che Renzi ha sostenuto di voler ribaltare in tutti questi anni. L’avergli affidato la Cultura del 2014 – per cui si immaginava per esempio uno come Baricco, che la Cultura l’ha costruita e messa i discussione e rinnovata sempre e ancora oggi – è una delle più spettacolari sconfitte per Renzi di questo governo Renzi, limitata solo dalla superiore dimensione delle altre (un governo con Alfano e Lupi, vedi un po’).
Non sono cose rassicuranti da vedere, ma sono conseguenze inevitabili della natura di questo governo: e sono soltanto le prime. Poi ci sono altre persone, nel governo Renzi: di alcune non so abbastanza, e questo mi fa ben sperare.
Cena vegana
Due sole obiezioni: trovo sproporzionato dovere investire tante energie e tempo nel nutrirsi, ragionando soprattutto con la testa su una cosa come il cibo che é invece molto collegata alle sensazioni primordiali, all'infanzia, alla cura, al contesto sociale e culturale. Non credo si mangi con la testa, ma molto con le sensazioni, i ricordi. Non voglio vivere per sempre, vorrei vivere il più felice (serena? Appagata?) possibile.
L'altra obiezione riguarda invece la sottrazione - a me piace praticamente tutto, mi piace la varietá, l'addizione e non la sottrazione - il questo no, questo no e questo no ("fa male") non mi piace - apprezzo invece del veganesimo l'utilizzo di materie prime poco usate e poco valorizzate.
In realtá ho un'ultima obiezione che riguarda un altro aspetto su cui si fa confusione - il veganesimo non è necessariamente collegato ad un'attenzione per l'ambiente. Ieri sera con dispiacere ho notato un notevole uso di contenitori monodose di plastica ( ognuno con pochissimo cibo dentro) - e mi ha dato fastidio - oh sí, tanto... La salute collettiva non é meno importante di quella individuale.
mercoledì 19 febbraio 2014
Che giornata
Comiciata svuotando la lavastoviglie e proseguita con un Colorno-Reggio Emilia centro (macchina/autostrada/autobus) - allietato da Lateral di Bottura con un bel ricordo di Freak Antony -seguita da riunione 1 (interventi sull'autismo), riunione 2 (dimissioni protette) una ventina di mail, una decina di telefonate di cui un paio VERAMENTE impegnative, inframmezzate dalla mia schiscetta mangiata leggendo il giornale, una decina di minuti di chiacchiere con una collega simpatica in pensione da un anno e un cielo grigio come il piombo a fare da cornice.. e un eccellente caffé macchiato al solito bar dove non devo nemmeno chiedere. Poi ancora Reggio Emilia - Colorno - violando tutti i limiti di velocitá - per portare Luigi a basket (Colorno-Torrile) poi di corsa a casa per un'oretta di cucina (eccellente pollo pie) e poi tornano in ordine sparso, Roberto da Ancona, Anna da cardiofitness, Luigi da basket, mangiamo, parliamo delle nostre giornate, ci scandalizziamo vedendo quel bello show messo su da Grillo in streaming con Renzi, poi la Serracchiani da Lilli e sparecchiare (e stendere, la lavatrice messa insieme mentre cuoceva il pollo). Poi crollare sul divano vicino alla stufa con l'i pad. Vita, solo vita, ma che stanchezza! Adesso le mail e un'occhiata a Repubblica - devo anche decidere che libro leggere ora (ho finito il libro di Faber "il petalo cremisi e il bianco" e l'ho recensito su Anobii).
Mi chiedo se tutta questa vita che scorre via rapida, più o meno fluida, più o meno serena non debba pensare di fissarla di più, di trattenerla di più, nel ricordo, nel senso, nella testa, nel cuore. Se non sia necessario rallentare, degustare, riflettere. Se abbia un'utilità tutto questo correre e impegnarsi e percepire un'importanza e un'urgenza che spesso sono solo sul momento e sono subito dimenticate per altre importanze e altre urgenze - tranne il caffè macchiato, si intende.
martedì 18 febbraio 2014
Cosa succede - ma insomma (invettiva)
Cosa succede - la democrazia in pericolo
Penso di sí, penso che la democrazia sia in pericolo in Italia perché la democrazia ha come fondamento il voto, ma il voto ha come fondamento un'opinione pubblica e in un paese dove
"L'Italia è all'ultimo posto in Europa per la percentuale dei laureati nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni, pari al 20,3% nel 2011: è quanto risulta dall'Indagine sulla forza lavoro 2012 diffusa oggi da Eurostat. Il dato è particolarmente basso se confrontato con la media europea (34,6%), ma anche rispetto agli altri Stati principali dell'Unione: in Germania i trentenni laureati sono il 30,7% del totale, in Spagna il 40,6%, in Francia il 43,4%, in Gran Bretagna il 45,8%. L'obiettivo per il 2020 è il 40% a livello Ue, mentre l'Italia punta a un più modesto 26/27%."
"Il tasso di abbandono scolastico cala in Europa, ma l'Italia è in controtendenza. Il quadro non lusinghiero per il nostro Paese viene descritto da Eurostat. Che, in un rapporto appena diffuso, rileva come la percentuale di studenti che lasciano la scuola in generale sia nel 2012 diminuita, avvicinando gli obiettivi fissati per il 2020 che puntano a limitare il fenomeno sotto la barra del 10% e ad aumentare la quota di diplomati a più del 40%. La situazione tra i 27 Paesi presenta tuttavia molte differenze. Mentre la media Ue per gli abbandoni scolari nel 2012 si è attestata al 12,8%, l'Italia segue con fatica col 17,6%, "
"e il Belpaese è nettamente fuori media Ue (35,8%) in tema di diplomati (21,7%)."
"L’indagine effettuata dall’OCSE rivela come la scuola italiana sia caratterizzata da una serie di debolezze che riguardano le performance mediocri degli studenti, quanto l’assenza di una carriera basata sul merito per gli insegnanti e per i dirigenti scolastici e l’assenza di misure volte a sostenere pari opportunità educative per gli studenti a prescindere dalle condizioni socio-economiche delle famiglie di provenienza. "
Qual era la domanda? Ah sí, credo che la democrazia in Italia sia in pericolo.
domenica 16 febbraio 2014
cosa succede - il governo Renzi - e allora perchè
I deputati parmensi (Pagliari e Maestri- uno renziano e l'altra no) sono venuti ieri a Colorno a dichiarare che il governo non riusciva più a lavorare e che sfornava un pasticcio dietro l'altro.
Autorevoli commentatori con i quali sono perfettamente d'accordo osservano che il governo Renzi segna il ritorno all'autorevolezza dei partiti, dopo i governi istituzionali che si sono preceduti, in certo qual modo - osservo- Renzi autodichiara il rinnovamento e la rinascita del PD. Parties are back?
Però immettendo forze nuove nel governo forse si poteva sia rafforzarne la capacità di governo, sia sottrarlo alla tutela istituzionale di "Re Giorgio" - forse, ma in realtà non lo so davvero.
Il dubbio che questo fosse possibile mi viene dall'osservazione di quando a mio parere il governo Letta si è mostrato in agonia ed è stato il momento in cui re Giorgio ha fermato la decadenza della Cancellieri dopo quel bello spettacolino messo in scena con l'affamata Ligresti - lì si è inchiodata una possibilità di "durare" e "andare oltre".
E adesso cosa succederà? riusciremo a bruciare un'altra delle nostre scarse risorse? o come afferma Scalfari oggi (io non ci credo, m può essere una possibilità) Renzi cercherà di governare sfondando il tetto europeo (quindi nel modo tradizionale che ci ha portato fin qui, cioè con l'indebitamento?). Vedremo, sono molto preoccupata.
Un'ultima riflessione commentando quello che Pagliari ieri diceva ossia che l'abolizione delle Province e la riforma del Senato sono faccenda molto più complessa di quella che appare e che le riforme proposte non sono sufficienti ad affrontare questa complessità. Del Senato so ovviamente poco, un po' di più delle Province perché ci lavoro fianco a fianco e so con certezza due cose:
- che devono essere abolite
- che la loro abolizione è affare di grande complessità da affrontare con efficienza e serietà ed entrando ne merito.
Osservo che Pagliari e i suoi sodali sono lì, appunto, per affrontare queste complessità.
cosa succede - il governo Renzi
La prima riflessione riguarda lo specchietto per gonzi (gonzi nel senso di gente che non capisce niente di politica) del "Renzi non vedeva l'ora di prendere il governo" in cui molti sono cascati e si capisce anche perché. Perché? perché questo modo di pensare attiene a due filoni importantissimi, in questo caso coincidenti, del pensiero che ci forma: il pensiero socialista del siamo tutti presunti uguali (=diffidare da chi emerge dalla folla) e il pensiero cattolico del peccato d'orgoglio, dell'umiltà (= diffidare di chi emerge dalla folla). E quindi il peccato d'orgoglio va sempre bene per essere stigmatizzato.
Sul merito, osserverei che Renzi non è D'Alema. Quando D'Alema, accecato dal suo smisurato ego, contribuì in modo decisivo alla caduta di Prodi (ma è davvero il primo caso, questo Letta-Renzi, di fuoco amico nel centro sinistra?) era accecato da due prospettive: una personale (anche per lui era tempo di "ultimi fuochi") ed una intrecciata con la politica (essere "il primo comunista - e chiamare D'Alema comunista mi procura uno scoppio di ilarità - al governo" dell'Italia con tutto ciò che questo rappresentava per chi da tanti anni non "vinceva" mai).
Renzi non ha questa urgenza - il dispiegamento completo del suo ego ha ancora molto tempo davanti a sé, senza necessariamente assumersi questo rischio pazzesco. Inoltre, conosco il suo "Letta" personale, Graziano Delrio, che sicuramente non è prono al trionfo del momento, ma più portato a pianificare con concreto spirito reggiano.
martedì 11 febbraio 2014
Mare di cazzate - 3
lunedì 10 febbraio 2014
La passione 2
Oggi é stata una eccellente giornata - ho chiuso con plauso un procedimento molto complesso di riordino isituzionale sul quale abbiamo sputato sangue - e bile.
Passione per questo lavoro? Forse, ci investo molto, lo faccio con tutta la cura e l'intelligenza di cui sono capace - a volte lo odio, ma anche l'odio fa parte della passione. Ne percepisco chiaramente l'importanza (per il pezzettino che mi compete) per la vita delle persone - e anche l'orgoglio fa parte della passione.
Ma a volte sono cosí stanca... La stanchezza non ha a che fare con la passione, no?
domenica 9 febbraio 2014
La passione
Non mi appassiona più nemmeno la politica. Il vero sentimento forte che provo ora è più che altro la rabbia, l'incazzatura per come vanno le cose, per le occasioni perse, per le violenze perpetrate, per le capacitá buttate, per le vite sprecate. La rabbia può sostituire la passione? Non credo. In che modo potrei appassionarmi ancora per qualcosa?
